lunedì 11 marzo 2013

La zona neutra – Prima parte




Duecento giorni di navigazione e di terra ferma neanche l'ombra. L'astronave era partita da Tico-teco alla volta del Limen, o almeno questo era ciò che si augurava il professor Bloom, che di quella teoria era il sostenitore più accanito. Ne aveva abbondantemente dibattuto a tutti i più importanti simposi scientifici delle Sette Galassie e ne aveva anche scritto nel suo ultimo e più completo trattato, “Del Limen: teoria e fenomenologia dell'universo e dei suoi confini”. Bloom sosteneva che l'universo fosse tenuto insieme dal suo conflitto fisico con l'anti-materia presente all'esterno di esso, e che questo conflitto si manifestasse a occhio nudo nella forma di un “muro” o “zona neutra”, dove non erano presenti stelle o pianeti e dove le leggi della fisica e della geometria euclidea non erano applicabili. “L'Uomo deve conoscere i confini del suo Mondo – era solito ripetere ai suoi studenti – perché è solo attraverso la conoscenza dei propri limiti che si può aspirare all'eccellenza e al dominio”. Naturalmente, la spedizione a bordo dell'Odissea non aveva ricevuto gli enormi finanziamenti richiesti sulla base della mera curiosità umana: Bloom aveva prospettato enormi ricavi dall'estrazione e dall'utilizzo della materia oscura, abbondante nella zona neutra, che poteva essere usata per implementare i motori a curvatura e addirittura per la costruzione di pianeti e stelle artificiali, nonché dei wormhole necessari al viaggio intergalattico. Questo Bloom lo sapeva ma non gliene importava: per lui contava solo aver ricevuto il denaro per appagare la sua sete di conoscenza e nessuno, né i burocrati di Terra-7 né tantomeno i membri del suo equipaggio, che si lamentavano per la scarsità di provviste, lo avrebbero potuto fermare.

“La ciurma si sta innervosendo. Questo viaggio sta durando ben più del previsto”. Il capitano Katanga, seduto alla scrivania della sua cabina/ufficio, lo fissava con i suoi occhi a palla, il bianco delle orbite che risplendeva come abbagliante avorio nel mezzo di quel nero volto. Bloom non poteva fare a meno di pensare che fosse in assoluto l'uomo dalla carnagione più scura che avesse mai visto in vita sua. “Non posso dare loro torto – proseguì Katanga – Le provviste sono piuttosto limitate e abbiamo già viaggiato per trecento parsec senza incontrare nulla degno di nota”. “Aha! È proprio questo il punto – intervenne il professore – L'assenza totale di stelle e pianeti rientra perfettamente nella mia teoria. Può significare solo una cosa: che siamo già nella zona neutra e che presto incontreremo il Limen”. “Professore, io mi rendo conto che lei è uno scienziato e vuole arrivare fino in fondo alla questione. Ma non credo valga la pena di sacrificare un intero equipaggio per questa missione. Sarebbe il caso di tornare indietro e organizzare un'altra spedizione con più risorse. Dobbiamo farlo ora o sarà troppo tardi: se ci allontaniamo ancora un po' le provviste non basteranno neanche per tornare alla base”. Katanga smise di parlare e osservò la reazione del suo interlocutore: Bloom era rosso in volto, spiritato. Il capitano ormai lo conosceva abbastanza per capire che non si sarebbe fermato davanti a niente. Fece scorrere la sua mano lungo il fianco e tastò lievemente il calcio della pistola, come per farsi coraggio. Non pensava certo che Bloom sarebbe arrivato ad attentare alla sua vita, ma in cinquant'anni di viaggi nello spazio ne aveva viste di cotte e di crude e aveva imparato che non bisognava mai dare nulla per scontato.




Bloom si issò dalla poltrona e voltò le spalle a Katanga, avviandosi verso l'uscita senza dire una parola. Poco prima di spingere il pulsante di apertura della porta, tuttavia, si arrestò. Katanga fissava la schiena dell'uomo, avvolta nel camice bianco da laboratorio. “C'è un'ultima cosa che devo dirle, capitano”, disse il professore con un tono di voce che a Katanga non piaceva neanche un po'. Poi si voltò, e il capitano vide che stringeva in mano un piccolo cubo. “Che diavolo...”. Con un movimento imprevedibilmente rapido, Bloom scagliò il cubo contro Katanga, che estrasse al volo la pistola. Ma non abbastanza velocemente, purtroppo per lui: il cubo gli si infilò nel petto come un coltello caldo in un panetto di burro. A quel punto vi fu come un bagliore rapidissimo, seguito da una sorda implosione. Con l'orrore negli occhi, Katanga non fece nemmeno in tempo a gridare, prima che quel minuscolo congegno lo risucchiasse in un solo boccone. Bloom si avvicinò e raccolse da terra il cubo fumante. “Non si metta mai fra lo scienziato e la sua ricerca”. [Continua]

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