lunedì 18 marzo 2013

La zona neutra – Seconda parte




Johnny Martian non sopportava più quel lavoro. Si era alzato come ogni mattina dalla dura brandina che oramai i membri della ciurma si erano abituati a chiamare letto. Ma lui, che aveva servito come sceriffo sui vascelli della federazione xandoriana per quindici anni, sapeva bene cosa la parola “letto” significasse. Si mise a sedere per qualche minuto, massaggiandosi la schiena dolente – aveva ormai ottantasette anni e poteva definirsi un uomo di mezza età – e poi si sforzò di alzarsi. Entrato nel bagno, si fermò per qualche istante a guardare la sua immagine riflessa nel minuto specchio. Davanti aveva il volto scarno di un uomo stanco e disilluso. Le guance erano scavate e le vistose rughe denunciavano la sua non più giovane età. La sua carnagione rossa, dovuta agli esperimenti genetici condotti sui primi coloni marziani da cui egli discendeva, stava scadendo nell'arancione.

Si fece una piacevole doccia calda e la barba, poi scese nella sala mensa e si godette un'abbondante colazione composta di uova, bacon e caffè liofilizzati – i migliori sulla piazza. Soddisfatto, lasciò la mensa per dirigersi al suo ufficio e smistare le scartoffie. La colazione lo aveva messo di buon umore: dimenticata la stanchezza e la frustrazione del risveglio, pensò che fare lo sceriffo su un'astronave scientifica non era poi così male – non c'erano mai emergenze e lui poteva avere tutto il tempo libero che desiderava. Per sua sfortuna il flusso di pensieri positivi venne bruscamente interro dallo squillo del comunicatore. Martian lo sganciò dalla cintura e se lo portò all'orecchio. “Sì, qui lo sceriffo”, disse. “Sceriffo – rispose la voce di Stratos – farebbe meglio a venire a dare un'occhiata nell'ufficio del capitano. È una bella gatta da pelare”.

Niente emergenze... le ultime parole famose! Martian prese l'ascensore verso il piano degli alloggi. Il capitano Katanga era un uomo strano: dopo sessant'anni di servizio e una discreta carriera nell'astronautica civile, ancora rifiutava di riservarsi una cabina per l'ufficio e preferiva dormire e lavorare nello stesso posto. Ciò poteva voler dire solo due cose: o che Katanga fosse un uomo estremamente umile oppure che fosse un malato di lavoro. Se avessero chiesto la sua opinione in pubblico, lo sceriffo avrebbe naturalmente scelto la prima ipotesi. Ma dopo aver osservato a lungo il suo capitano era piuttosto certo che l'ipotesi giusta fosse la seconda: Katanga era un uomo retto e onesto, questo era sicuro, ma ciò non toglieva che fosse un cazzo di workaholic. Mentre attendeva che l'ascensore raggiungesse il piano delle cabine, non poté impedirsi di riflettere su quanto gli aveva detto Stratos. “Una bella gatta da pelare”. Che cosa poteva significare?




Le porte si aprirono sull'angusto corridoio e Martian notò subito che intorno alla cabina si era creato un discreto capannello di gente. Avvicinandosi a passo spedito verso la porta, intimò ai curiosi di “levarsi di torno” e “riprendere le proprie attività”, chiedendo quindi al suo vice, un ometto basso dai capelli rossi e la carnagione pallida ricoperta di lentiggini che rispondeva al nome di O'Bannon, di scortare quelle persone “fuori dalle palle”. O'Bannon, che indossava un berretto della Fondazione Starsploitation un po' troppo stretto per la sua testa piatta, eseguì celermente l'ordine. Martian era contento di essersi levato “dalle palle” anche lui, visto che non gli stava per nulla simpatico. Anzi, lo trovava leggermente viscido quel dannato irlandese.

“Allora, che abbiamo qui?”, chiese lo sceriffo entrando finalmente nella cabina di Katanga. Stratos, il suo altro assistente, stava parlando con il professor Bloom e si interruppe per aggiornare il suo superiore sulla faccenda. Disse che il capitano era scomparso dalla sera prima senza lasciare traccia. Quella mattina il primo ufficiale aveva bussato come ogni giorno alla sua porta alle sette precise per il briefing mattutino, ma non aveva ricevuto risposta. Dopo essere entrato aveva scoperto che la cabina era deserta. “Stavo giusto parlando con il professore, che è l'ultima persona ad aver incontrato Katanga ieri sera”, concluse Stratos. Bloom si schiarì la voce e poi attaccò con la sua versione: “Come dicevo al suo vice, qui, ieri sera il capitano mi ha convocato perché gli riferissi i progressi della missione. Abbiamo parlato per circa una mezz'ora, dopo di che ci siamo salutati e io sono tornato nel mio alloggio”. “Che ore erano, circa? Se lo ricorda?”, chiese Martian. “Saranno state più o meno le nove e mezza”. “C'è dell'altro, sceriffo, intervenne Stratos. “Venga a vedere”. L'uomo gli fece cenno di seguirlo fin dietro la scrivania di Katanga. La sedia era appoggiata contro il muro come se il capitano si fosse sollevato con forza e in tutta fretta. Per terra, tra la scrivania e il muro, c'era una piccolissima macchia nera, come una bruciatura. “Cosa pensa che sia, sceriffo?”, chiese Stratos. Martian si stava picchiettando il dito sul labbro inferiore e Stratos sapeva che, quando faceva così, voleva dire che stava riflettendo. “Non ne sono sicuro. Ho già visto qualcosa di simile quando lavoravo a Kilmister City nell'anello esterno di Andromeda. Brutto posto, quello. Un sacco di omicidi ogni giorno. Uno come te ci si sarebbe divertito un sacco, Stratos”. L'altro accennò un sorriso. “Comunque, credo di sapere cosa potrebbe essere, ma finché non ne sarò sicuro – e finché non avremo analizzato la macchia – voglio che tu e O'Bannon battiate l'astronave da cima a fondo per cercare Katanga. Io emetterò un comunicato generale nell'interfono per dire a tutti i membri dell'equipaggio di tenere gli occhi aperti”. “Sissignore”, disse Stratos e fece per uscire, ma la via gli fu bloccata da O'Bannon, che si era precipitato dentro la cabina tutto trafelato. “Sceriffo! Sceriffo! Questa la deve vedere!”. Martian, insieme a Stratos e al professore, seguì O'Bannon lungo il corridoio e fino a uno slargo sferico dove si trovava un oblò.

Quando sbirciò all'esterno notò subito la figura bianca che galleggiava contro lo sfondo più nero della notte. Era un astronauta, legato al loro vascello con un cavo. La visiera del suo casco era sfondata: l'uomo, chiunque egli fosse, era sicuramente morto. “Portatelo dentro”, disse a mezza voce lo sceriffo. “Ho l'impressione che abbiamo trovato il nostro capitano”. [Continua]

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