sabato 6 aprile 2013

La zona neutra – Quarta parte




Parte 1 | Parte 2 | Parte 3

Bloom riprese i sensi lentamente e la prima cosa che avvertì fu un forte mal di testa, seguito da un brusio nella stanza. Aprì gli occhi e si rese conto di essere riverso sul pavimento, a poca distanza dalla brandina su cui era poggiato il corpo senza vita del capitano. Che cosa fosse successo, il professore lo dedusse in pochi attimi: accanto a lui, infatti, si trovava un estintore, che evidentemente si era staccato dal suo alloggio a causa della scossa che aveva attraversato l'astronave e gli era piombato in testa. Bloom si passò una mano sul cranio e avvertì un grosso bozzo nel punto in cui la pesante tanica metallica lo aveva colpito. Il brusio lo preoccupava: temeva di aver subito un trauma cranico. Tentò di alzarsi ma le forze lo reggevano a fatica, perciò decise di fare un passo alla volta: sostenendosi con le mani si mise prima in ginocchio e poi, poggiandosi contro la parete alle sue spalle, si alzò finalmente in piedi, barcollante.

Il mondo girava intorno a lui. La stanza era buia: chiaramente qualunque cosa fosse stata a causare la scossa aveva anche fatto saltare l'impianto elettrico. Poi gli occhi di Bloom incontrarono un dettaglio curioso: una leggera luminescenza avvolgeva una porzione del laboratorio, quella in cui si trovava il cadavere di Katanga. La mente dello scienziato era ancora attutita e confusa per la botta, ma si sforzò comunque di mettere a fuoco ciò che i nervi ottici stavano comunicando al cervello. E la scoperta che ne seguì lo sconvolse fino all'orlo della pazzia.

Il corpo di Katanga era seduto sul lettino, un dato di per sé già assurdo considerando che fino a pochi minuti prima il capitano era un blocco di ghiaccio e morte. Ma a quel dettaglio folle si aggiungeva anche il fatto che l'uomo stava emanando quella luminescenza che Bloom aveva notato al suo risveglio. E non c'era dubbio che Katanga fosse tornato in vita: l'uomo orientò il capo verso Bloom e prese a fissarlo. I suoi occhi emanavano una luce lievemente più intensa di quella emessa dal suo corpo. Bloom osservava atterrito, eppure la sua mente scientifica stava ancora tentando di mettere insieme i pezzi di questo puzzle assurdo. Come poteva un uomo morto essere tornato in vita? La spiegazione galleggiava nei laghi sotterranei delle sue sinapsi sconvolte, ma lui non osava addentrarsi nelle spelonche. Poi Katanga parlò.




Certo, sempre che il suono che uscì dalla sua bocca potesse definirsi “parola”. Iniziò come un rombo cupo e si tramutò presto in una vibrazione che sconquassò le pareti della stanza, frantumando i vetri degli armadietti e lacerando i canali uditivi del professore. “Tu – disse il capitano – Riconosco il tuo volto grazie alle memorie dell'essere chiamato Katanga. Tu sei colui che ha ucciso il guscio che ora ospita la coscienza del Tutto”. Bloom ripiombò a sedere, gli occhi fuori dalle orbite. “Chi... chi sei?”, chiese tra i singulti. Katanga, o meglio la creatura che ne aveva preso le sembianze, si era nel frattempo alzato in piedi e avanzava verso di lui. I suoi movimenti erano legnosi, maldestri, come se il suo corpo fosse agito da un'entità non abituata a quella prigionia di carne ed ossa. “Io sono un mero guardiano – rispose – assegnato a questa porzione del Confine da Quelli al di là. La domanda giusta è: chi siete voi, che vi avvicinate senza preavviso ai nostri confini?”. Mentre lo ascoltava, Bloom allungava la mano verso l'estintore alla sua sinistra. “Noi siamo umani, veniamo dal pianeta Tico-teco, avamposto del nostro impero che ha sede in un pianeta chiamato Terra. Siamo qui in missione scientifica per studiare i confini del nostro universo”. La mano aveva quasi raggiunto l'estintore. Colui che era stato Katanga si chinò per osservarlo da vicino. “In questo caso, umano... un avvertimento. Quello che per voi è il confine, in realtà è l'inizio di ciò che è Vero. Il vostro misero ammasso di polveri e roccia non è che una corona di materiale di scarto che circonda il Tutto. I vostri corpi non resisterebbero alle leggi fisiche del Tutto, peggio ancora lo inquinerebbero. Desistete”. Prima che potesse concludere il discorso, Bloom afferrò l'estintore e colpì l'essere con tutta la sua forza sulla nuca. L'essere si ritrasse per un attimo, stordito: il suo era pur sempre un corpo umano, ma la potenza che scaturiva dall'entità di energia – o meglio, “anti-energia” – che risiedeva al suo interno lo fece riprendere in pochi istanti.

Quello che accadde in seguito fu l'ultima cosa che Bloom vide in vita sua: cacciando un urlo disumano, il corpo del capitano iniziò a caricarsi di anti-energia, che sprigionava dai suoi occhi e da ogni poro del suo corpo come una nefasta quanto luminosa promessa di morte. A quel punto, la consapevolezza lo investì come un treno: un corpo che torna in vita, l'astronave percorsa da scosse sismiche misteriose. Ora ne era certo: l'entropia, il principio che regola l'universo e che conduce inesorabilmente al caos, si stava ribaltando. Dalla morte, era nata la vita. E allo stesso modo, le strutture dell'Odissea, forgiate nei cantieri di Tico-teco a partire da enormi blocchi di Duranio, la lega indistruttibile scoperta nel sistema Zoltar, stavano riprendendo le loro forme originali, cancellando l'intervento dell'uomo.

Improvvisamente, Bloom fu contento di morire. Perché quello che avrebbe atteso lui e l'equipaggio, anche se fossero sopravvissuti all'inversione delle leggi fisiche, era certamente peggio della morte. Lui stesso ne vide una pallida scheggia mentre la luce sovrannaturale del mostro lo avvolgeva in un mortifero abbraccio. Per un attimo, vide Quelli al di là, coloro che risiedevano nel Tutto e lo dominavano. E si augurò che mai e poi mai avrebbero desiderato oltrepassare il Limen. Poi luce fu.

Nessun commento:

Posta un commento